Edward
Dopo
poco la porta si
aprì ed entrò Felix.
Quando
mi vide sdraiato
sul letto un ombra passo sul suo viso “Stai male?”
mi chiese
preoccupato.
“No
Felix, va tutto
bene” sospirai mentre mi alzavo “Devo venire da
Aro?”
Lui
annui sorridendo
mentre mi faceva strada per il corto corridoio. Si, la mia stanza era
abbastanza vicino alla grande sala dove i Signori di Volterra
ricevevano le visite ed emettevano i giudizi. Non era un caso,
ricordavo benissimo che spesso uscivo sfinito dal mio
“lavoro” e
che le altre Guardie dovevano portarmi di peso nella mia camera.
Quando
varcai la porta
vidi Rebecca alzarsi e seguirmi. Stava un paio di metri dietro di
me, seguendo ogni mio movimento.
Mi
sentivo infastidito,
osservato e quando entrai nella grande sala e incrociai gli occhi
divertiti di Aro, un ringhio di rabbia salì nel mio petto.
“Pace
Edward. Non è il
caso di prendersela così. A parte un po' di male
già passato,
Rebecca non ti darà alcun fastidio. Adesso fai il bravo e
prendi
posizione che abbiamo del lavoro da fare”.
Il
ringhio si spense e
con calma mi inginocchiai a fianco a lui. Gli ero molto utile in
quanto io leggevo i pensieri di chi Aro riceveva e lui
accarezzandomi la testa li rubava dalla mia mente.
Mi
usava da ponte mentale
anche se questo comportava per me un grande sforzo di concentrazione
che spesso mi sfiniva.
La
mia mente non più
abituata a sopportare l'intrusione continua di Aro, si
stancò subito
e dopo appena tre colloqui sentii la testa girarmi e pulsarmi
dolorosamente.
“Abbiamo
quasi
finito Edward. Tieni durò ragazzo. Hai perso l'abitudine ma
presto la riprenderai.” le parole di Aro
penetrarono nella mia mente
stanca proprio mentre entrava un altro vampiro.
Sospirai
e alzai la testa
per lanciare un rapido sguardo dietro di me. Rebecca stava in piedi
dietro al trono di Aro a fianco a Renata. I suoi occhi si puntarono
nei miei e come al solito mi sorrise.
Mi
voltai di nuovo
strattonato da Aro “Non perdere la concentrazione Edward!
”
Un
nuovo ringhio sommesso
mi vibrò nel petto mentre scuotevo la testa per allontanare
la sua
mano. Aro si voltò a guardarmi dapprima stupito mentre
percepivo la
sua rabbia salire “ Non ti permettere
più di ribellarti,
Edward. Adesso abbassa la testa e concentrati. Non costringermi a
metterti subito in punizione, ragazzo.”
Sospirai
cercando di calmarmi.
Sapevo
che era questo il mio incarico presso i volturi, ma se l'altra volta
avevo accettato tutto tranquillamente soggiogato dal potere di
Chelsea, stavolta era più duro ubbidire agli ordini.
Abbassai la
testa e mi concentrai sul nuovo venuto.
Era
difficile mantenere l'attenzione stanco com'ero, e presto il dolore
mi spinse a cercare di sottrarmi alla sua presa. Aro mi
guardò
accigliato poi ritirò la mano e fece cenno a Felix di
avvicinarsi
“Edward, è stanco. Accompagnalo in camera e
controlla che si
riposi.”
Non
riuscivo a tenere gli occhi aperti e Felix fu costretto a sorreggermi
per il breve tragitto. Quando entrai mi fece sdraiare sul letto. Ero
cosciente e anche se parlare mi dava la nausea, gli dissi
“Grazie
Felix. Dov'è Rebecca?” Lui mi sorrise divertito
“E' qui dietro
a me. Non ti preoccupare, non ti lascia solo. Non è a causa
sua che
stai male. Adesso riposati, hai sentito Aro. Non ti conviene sfidarlo
più di tanto. Se le altre volte sopportavi bene la Gabbia,
adesso
chiuso lì, lontano da Rebecca potresti impazzire dal dolore.
A dopo
Edward e ricordati che sei una Guardia e le Guardie obbediscono agli
ordini”
Quando
Felix uscii chiusi gli occhi e cercai di sprofondare nel nulla per
riposare il cervello. Facevo fatica a respirare e non riuscivo a
immaginare di poter vivere altri tre mesi lì dentro in
quelle
condizioni. Non riuscivo a rilassarmi, la mia bocca era invasa dal
veleno, mentre una sorda rabbia cresceva in me.
Volevo
tornare a casa, volevo rivedere la mia Bella. Mi mancava, mi
mancavano le sue carezze e i suoi baci. Mi domandai ancora una volta
come avrei potuto stare tre mesi senza di lei, ci eravamo lasciati da
pochi giorni e già sentivo il vuoto dentro di me e il
desiderio di
accarezzarla e baciarla crescere soltanto al suo pensiero.
Aro
aveva estorto con l'inganno il mio giuramento ed io pur essendo
partito con l'intenzione di ubbidire, non ero sicuro di riuscire ad
accettare le sue regole.
Vidi
Rebecca avvicinarsi, sembrava preoccupata.
Si
sedette sul bordo del letto senza levare i suoi occhi dai miei.
“Lasciami stare” le mugugnai voltandomi verso il
muro. La sua
mano si mosse velocissima e si posò sulla mia fronte. Quel
contatto
inaspettato mi fece sussultare e mi girai con l'intento di
allontanare la sua mano da me. Rimasi ancora una volta sconvolto nel
vedere i suoi occhi, i miei occhi, che mi fissavano teneramente
mentre il dolore si attenuava ed io scivolavo nella pace.
Quando
ripresi coscienza, Rebecca era ancora seduta sul letto a fianco a me
e mi stringeva la mano. La guardai e ritrassi la mano dalla sua. Mi
sentivo riposato e rilassato ma anche infastidito da quella
libertà
che si era presa.
Doveva
essere stata lei, però, a calmare la mia mente e a donarmi
il
riposo di cui avevo così bisogno. Evidentemente il suo tocco
aveva
la capacità di rilassarmi. Non mi piaceva essere soggetto al
suo
potere, ma non potevo negare che era stato molto utile.
Mi
tirai su e scesi dal letto.
Non
avevo bisogno dell'orologio per sapere che era tarda mattinata, avevo
riposato per diverse ore e adesso ero libero di aggirarmi per la
Rocca indisturbato. Forse sarei riuscito a trovare un modo di
comunicare con la mia famiglia. Possibile che vivessero senza
contatti esterni? Da qualche parte forse avrei potuto trovare un
cellulare o un computer. Ma come avrebbe reagito Rebecca?
La
guardai di sottecchi, mi domandavo se mi avrebbe messo i bastoni
nelle ruote o se mi avrebbe lasciato fare.
Intanto
dovevo scoprire quali erano i limiti che mi aveva messo, poteva
essermi utile sapere di poter stare due, cinque, dieci o cinquanta
metri lontano da lei.
Facendo
finta di niente mi diressi in bagno.
Lei
come al solito mi seguì. “Scusa Rebecca, non mi
succederà niente,
vorrei stare un attimo da solo” Scosse la testa divertita
mentre
si andava a sedere sul divano. Io chiusi la porta e non dovetti
aspettare neanche un minuto che la sensazione di panico mi invase
violentemente. Aprii subito e uscii appoggiandomi allo stipite.
Lei
mi guardava negli occhi un sorriso divertito sulle labbra.
“Scusa
– mugugnai a denti stretti – ma volevo avere la
conferma. A
quanto pare è meglio che non ci siano porte fra di noi,
vero?” Lei
mi sorrise e annui.
“Ok.
Voglio vedere un altra cosa. Puoi sederti sul letto per
favore?” stavolta l'espressione era chiaramente stupita
mentre andava ad
accomodarsi. Io mi avvicinai a lei, sorridendole e poi iniziai ad
arretrare. Lei non toglieva gli occhi dai miei e io camminavo
all'indietro. Arrivai fino in fondo alla parete e feci un rapido
calcolo mentale. Bene se lei mi guardava potevo starle lontano almeno
tre o quattro metri senza sentire fastidio. Era già
qualcosa.
“Rebecca mi fai un ultimo favore? Puoi girarti e chiudere gli
occhi?” Chissà se cambiava qualcosa?. Lei
ubbidì prontamente e
io sentii subito la sensazione di panico bussare nella mia mente. Non
era forte, solo poco più di un fastidio. Mi avvicinai
lentamente e
lei ancora chiaramente divertita da quelle prove si girò a
fissarmi.
“Credo che sia meglio se tu mi tieni sott'occhio vero? Ma
stai
male anche tu insieme a me? Mi sembra di vederti un ombra negli occhi
quando mi allontano” mi guardò seria e mi sorrise
annuendo.
“Ok,
penso che adesso possiamo andare a fare un giro. Mi farebbe piacere
ritornare nel cortile. Chissà se c'è sempre il
mio albero? Sei
pronta, possiamo uscire?” lei annui di nuovo sorridendo e
silenziosa come sempre mi segui nel corridoio.
Ovviamente
mi mancava un ultima prova, avevo un po' di timore ma sapevo che era
importante per capire la libertà di cui potevo godere.
Quando
fummo nel lungo corridoio. Mi voltai verso di lei. “Ok.
Ascolta ho
bisogno di un favore. Devi rimanere qui, qualsiasi cosa mi succeda
devi rimanere ferma fino a che non ti chiamo. Hai capito?”
Lei
mi guardò sempre più accigliata e scosse la testa.
“Rebecca,
so che la cosa può pesarti, ma devo capire i miei limiti.
Adesso
stai ferma mentre mi allontano” e senza aspettare una sua
risposta
iniziai ad arretrare lentamente. Lei rimase lì, gli occhi
fissi su
di me. Ma non si mosse.
Lentamente,
molto lentamente iniziai ad allontanarmi, due metri, poi cinque, il
corridoio era lungo ed io sentivo crescere dentro di me il sentimento
del panico. Qualche guardia passò, ma guardarono
distrattamente e
proseguirono. Dovevo essere a meno di otto metri circa, quando la
sensazione di panico esplose con forza. Iniziai subito a sentirmi
soffocare, era come se mi avessero cacciato in gola un batuffolo di
cotone e le mie gambe iniziarono a tremare. Arretrai ancora di pochi
passi e subito mi sentii affogare nel terrore. Era come se fossi
finito sott'acqua. All'improvviso tutti i miei sensi vennero
appannati e mi ritrovai per terra senza forze, tremante e incapace
di muovermi. Alzai appena la testa e vidi attraverso la nebbia
Rebecca appoggiata alla parete con aria sofferente. Non volevo
chiamarla, non ancora. Facendo leva sulle braccia cercai di
allontanarmi ancora, ma fu un vano tentativo. Il mio corpo ormai non
mi apparteneva più e dei brividi di dolore iniziarono a
partire
dalla testa raggiungendo tutti i punti del corpo . Provai a
chiamarla, “Rebecca ti prego vieni” ma dalla mia
bocca uscii solo un rantolo. Fu in quel momento che avvertii delle mani
toccarmi
e delle voci chiamarmi, ma non riuscivo a connettere o a capire a chi
appartenessero o cosa volessero. L'unico pensiero coerente era una
disperata richiesta d'aiuto e dalle mie labbra usciva solo il suo
nome sussurrato “Rebecca, Rebecca, Rebecca....”
Poi
fu come se qualcuno mi avesse tirato fuori dall'acqua e mi ritrovai
stretto al suo corpo. Si era seduta vicino a me e mi stringeva
teneramente mentre con la mano mi accarezzava i capelli. Piano,
piano iniziai a calmarmi mentre i dolori si attenuavano. Il suo
abbraccio era piacevole, confortante.
Per
un attimo pensai a Bella, a come ci stringevamo stretti, al mio amore
per lei. Ma questo abbraccio era diverso, non era quello tenero del
Amore con la A maiuscola, sensuale e carico di aspettative, era un
abbraccio confortante, che donava sicurezza, un abbraccio che ti
diceva sono qua, va tutto bene. Era un abbraccio più simile
a quello
di Esme a quello di una mamma che consola un bambino in
difficoltà.
Mi
lasciai cullare, lasciai che le forze ritornassero e il mio cervello
riacquistasse lucidità. Poi quando fui certo che tutto era
passato
la guardai sorridendole “Grazie Rebecca, mi spiace se ti ho
fatto
del male. Dovevo capire, sapere cosa aspettarmi se qualcuno ci
dovesse dividere. Non lo farò più, non mi
allontanerò più da te,
non ne vale la pena”.
Lei mi sorrise incerta
se credermi o meno poi si alzò rapida
allungandomi la mano e invitandomi a fare altrettanto. Io annui e mi
alzai aiutato da lei, ancora scosso da quello che avevo provato.
Lei
mi guardò nuovamente e con un gesto teatrale della mano mi
invitò a
farle strada. Scossi la testa divertito e grato del fatto che non
mi tenesse il broncio e mi avviai lungo il corridoio prendendola per
mano.
Non
fece opposizione ma mi guardò chiaramente stupita.
Non
fu un gesto calcolato, ma puramente istintivo, mi sentivo
più
sicuro e protetto con la certezza di averla vicino a me.
Non
potevo immaginare che non ne avrei più potuto fare a meno e
che
avevo creato un precedente pericoloso.
Da
dietro di noi una porta si aprì lentamente ed Aro ne uscii
scrutandoci pensieroso mentre un sorriso soddisfatto si allargava sul
suo viso.
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