martedì 12 febbraio 2013

NV Capitolo 5 - Distanze

Edward

Dopo poco la porta si aprì ed entrò Felix.
Quando mi vide sdraiato sul letto un ombra passo sul suo viso “Stai male?” mi chiese preoccupato.
“No Felix, va tutto bene” sospirai mentre mi alzavo “Devo venire da Aro?”
Lui annui sorridendo mentre mi faceva strada per il corto corridoio. Si, la mia stanza era abbastanza vicino alla grande sala dove i Signori di Volterra ricevevano le visite ed emettevano i giudizi. Non era un caso, ricordavo benissimo che spesso uscivo sfinito dal mio “lavoro” e che le altre Guardie dovevano portarmi di peso nella mia camera.
Quando varcai la porta vidi Rebecca alzarsi e seguirmi. Stava un paio di metri dietro di me, seguendo ogni mio movimento.
Mi sentivo infastidito, osservato e quando entrai nella grande sala e incrociai gli occhi divertiti di Aro, un ringhio di rabbia salì nel mio petto.
“Pace Edward. Non è il caso di prendersela così. A parte un po' di male già passato, Rebecca non ti darà alcun fastidio. Adesso fai il bravo e prendi posizione che abbiamo del lavoro da fare”.
Il ringhio si spense e con calma mi inginocchiai a fianco a lui. Gli ero molto utile in quanto io leggevo i pensieri di chi Aro riceveva e lui accarezzandomi la testa li rubava dalla mia mente.
Mi usava da ponte mentale anche se questo comportava per me un grande sforzo di concentrazione che spesso mi sfiniva.
La mia mente non più abituata a sopportare l'intrusione continua di Aro, si stancò subito e dopo appena tre colloqui sentii la testa girarmi e pulsarmi dolorosamente.
Abbiamo quasi finito Edward. Tieni durò ragazzo. Hai perso l'abitudine ma presto la riprenderai.” le parole di Aro penetrarono nella mia mente stanca proprio mentre entrava un altro vampiro.
Sospirai e alzai la testa per lanciare un rapido sguardo dietro di me. Rebecca stava in piedi dietro al trono di Aro a fianco a Renata. I suoi occhi si puntarono nei miei e come al solito mi sorrise.
Mi voltai di nuovo strattonato da Aro “Non perdere la concentrazione Edward! ”
Un nuovo ringhio sommesso mi vibrò nel petto mentre scuotevo la testa per allontanare la sua mano. Aro si voltò a guardarmi dapprima stupito mentre percepivo la sua rabbia salire “ Non ti permettere più di ribellarti, Edward. Adesso abbassa la testa e concentrati. Non costringermi a metterti subito in punizione, ragazzo.”
Sospirai cercando di calmarmi.
Sapevo che era questo il mio incarico presso i volturi, ma se l'altra volta avevo accettato tutto tranquillamente soggiogato dal potere di Chelsea, stavolta era più duro ubbidire agli ordini. Abbassai la testa e mi concentrai sul nuovo venuto.
Era difficile mantenere l'attenzione stanco com'ero, e presto il dolore mi spinse a cercare di sottrarmi alla sua presa. Aro mi guardò accigliato poi ritirò la mano e fece cenno a Felix di avvicinarsi “Edward, è stanco. Accompagnalo in camera e controlla che si riposi.”
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e Felix fu costretto a sorreggermi per il breve tragitto. Quando entrai mi fece sdraiare sul letto. Ero cosciente e anche se parlare mi dava la nausea, gli dissi “Grazie Felix. Dov'è Rebecca?” Lui mi sorrise divertito “E' qui dietro a me. Non ti preoccupare, non ti lascia solo. Non è a causa sua che stai male. Adesso riposati, hai sentito Aro. Non ti conviene sfidarlo più di tanto. Se le altre volte sopportavi bene la Gabbia, adesso chiuso lì, lontano da Rebecca potresti impazzire dal dolore. A dopo Edward e ricordati che sei una Guardia e le Guardie obbediscono agli ordini”

Quando Felix uscii chiusi gli occhi e cercai di sprofondare nel nulla per riposare il cervello. Facevo fatica a respirare e non riuscivo a immaginare di poter vivere altri tre mesi lì dentro in quelle condizioni. Non riuscivo a rilassarmi, la mia bocca era invasa dal veleno, mentre una sorda rabbia cresceva in me.
Volevo tornare a casa, volevo rivedere la mia Bella. Mi mancava, mi mancavano le sue carezze e i suoi baci. Mi domandai ancora una volta come avrei potuto stare tre mesi senza di lei, ci eravamo lasciati da pochi giorni e già sentivo il vuoto dentro di me e il desiderio di accarezzarla e baciarla crescere soltanto al suo pensiero.
Aro aveva estorto con l'inganno il mio giuramento ed io pur essendo partito con l'intenzione di ubbidire, non ero sicuro di riuscire ad accettare le sue regole.
Vidi Rebecca avvicinarsi, sembrava preoccupata.
Si sedette sul bordo del letto senza levare i suoi occhi dai miei. “Lasciami stare” le mugugnai voltandomi verso il muro. La sua mano si mosse velocissima e si posò sulla mia fronte. Quel contatto inaspettato mi fece sussultare e mi girai con l'intento di allontanare la sua mano da me. Rimasi ancora una volta sconvolto nel vedere i suoi occhi, i miei occhi, che mi fissavano teneramente mentre il dolore si attenuava ed io scivolavo nella pace.
Quando ripresi coscienza, Rebecca era ancora seduta sul letto a fianco a me e mi stringeva la mano. La guardai e ritrassi la mano dalla sua. Mi sentivo riposato e rilassato ma anche infastidito da quella libertà che si era presa.
Doveva essere stata lei, però, a calmare la mia mente e a donarmi il riposo di cui avevo così bisogno. Evidentemente il suo tocco aveva la capacità di rilassarmi. Non mi piaceva essere soggetto al suo potere, ma non potevo negare che era stato molto utile.
Mi tirai su e scesi dal letto.
Non avevo bisogno dell'orologio per sapere che era tarda mattinata, avevo riposato per diverse ore e adesso ero libero di aggirarmi per la Rocca indisturbato. Forse sarei riuscito a trovare un modo di comunicare con la mia famiglia. Possibile che vivessero senza contatti esterni? Da qualche parte forse avrei potuto trovare un cellulare o un computer. Ma come avrebbe reagito Rebecca?
La guardai di sottecchi, mi domandavo se mi avrebbe messo i bastoni nelle ruote o se mi avrebbe lasciato fare.
Intanto dovevo scoprire quali erano i limiti che mi aveva messo, poteva essermi utile sapere di poter stare due, cinque, dieci o cinquanta metri lontano da lei.
Facendo finta di niente mi diressi in bagno.
Lei come al solito mi seguì. “Scusa Rebecca, non mi succederà niente, vorrei stare un attimo da solo” Scosse la testa divertita mentre si andava a sedere sul divano. Io chiusi la porta e non dovetti aspettare neanche un minuto che la sensazione di panico mi invase violentemente. Aprii subito e uscii appoggiandomi allo stipite.
Lei mi guardava negli occhi un sorriso divertito sulle labbra.
“Scusa – mugugnai a denti stretti – ma volevo avere la conferma. A quanto pare è meglio che non ci siano porte fra di noi, vero?” Lei mi sorrise e annui.
“Ok. Voglio vedere un altra cosa. Puoi sederti sul letto per favore?” stavolta l'espressione era chiaramente stupita mentre andava ad accomodarsi. Io mi avvicinai a lei, sorridendole e poi iniziai ad arretrare. Lei non toglieva gli occhi dai miei e io camminavo all'indietro. Arrivai fino in fondo alla parete e feci un rapido calcolo mentale. Bene se lei mi guardava potevo starle lontano almeno tre o quattro metri senza sentire fastidio. Era già qualcosa. “Rebecca mi fai un ultimo favore? Puoi girarti e chiudere gli occhi?” Chissà se cambiava qualcosa?. Lei ubbidì prontamente e io sentii subito la sensazione di panico bussare nella mia mente. Non era forte, solo poco più di un fastidio. Mi avvicinai lentamente e lei ancora chiaramente divertita da quelle prove si girò a fissarmi. “Credo che sia meglio se tu mi tieni sott'occhio vero? Ma stai male anche tu insieme a me? Mi sembra di vederti un ombra negli occhi quando mi allontano” mi guardò seria e mi sorrise annuendo.
“Ok, penso che adesso possiamo andare a fare un giro. Mi farebbe piacere ritornare nel cortile. Chissà se c'è sempre il mio albero? Sei pronta, possiamo uscire?” lei annui di nuovo sorridendo e silenziosa come sempre mi segui nel corridoio.
Ovviamente mi mancava un ultima prova, avevo un po' di timore ma sapevo che era importante per capire la libertà di cui potevo godere.
Quando fummo nel lungo corridoio. Mi voltai verso di lei. “Ok. Ascolta ho bisogno di un favore. Devi rimanere qui, qualsiasi cosa mi succeda devi rimanere ferma fino a che non ti chiamo. Hai capito?”
Lei mi guardò sempre più accigliata e scosse la testa.
“Rebecca, so che la cosa può pesarti, ma devo capire i miei limiti. Adesso stai ferma mentre mi allontano” e senza aspettare una sua risposta iniziai ad arretrare lentamente. Lei rimase lì, gli occhi fissi su di me. Ma non si mosse.
Lentamente, molto lentamente iniziai ad allontanarmi, due metri, poi cinque, il corridoio era lungo ed io sentivo crescere dentro di me il sentimento del panico. Qualche guardia passò, ma guardarono distrattamente e proseguirono. Dovevo essere a meno di otto metri circa, quando la sensazione di panico esplose con forza. Iniziai subito a sentirmi soffocare, era come se mi avessero cacciato in gola un batuffolo di cotone e le mie gambe iniziarono a tremare. Arretrai ancora di pochi passi e subito mi sentii affogare nel terrore. Era come se fossi finito sott'acqua. All'improvviso tutti i miei sensi vennero appannati e mi ritrovai per terra senza forze, tremante e incapace di muovermi. Alzai appena la testa e vidi attraverso la nebbia Rebecca appoggiata alla parete con aria sofferente. Non volevo chiamarla, non ancora. Facendo leva sulle braccia cercai di allontanarmi ancora, ma fu un vano tentativo. Il mio corpo ormai non mi apparteneva più e dei brividi di dolore iniziarono a partire dalla testa raggiungendo tutti i punti del corpo . Provai a chiamarla, “Rebecca ti prego vieni” ma dalla mia bocca uscii solo un rantolo. Fu in quel momento che avvertii delle mani toccarmi e delle voci chiamarmi, ma non riuscivo a connettere o a capire a chi appartenessero o cosa volessero. L'unico pensiero coerente era una disperata richiesta d'aiuto e dalle mie labbra usciva solo il suo nome sussurrato “Rebecca, Rebecca, Rebecca....”
Poi fu come se qualcuno mi avesse tirato fuori dall'acqua e mi ritrovai stretto al suo corpo. Si era seduta vicino a me e mi stringeva teneramente mentre con la mano mi accarezzava i capelli. Piano, piano iniziai a calmarmi mentre i dolori si attenuavano. Il suo abbraccio era piacevole, confortante.
Per un attimo pensai a Bella, a come ci stringevamo stretti, al mio amore per lei. Ma questo abbraccio era diverso, non era quello tenero del Amore con la A maiuscola, sensuale e carico di aspettative, era un abbraccio confortante, che donava sicurezza, un abbraccio che ti diceva sono qua, va tutto bene. Era un abbraccio più simile a quello di Esme a quello di una mamma che consola un bambino in difficoltà.
Mi lasciai cullare, lasciai che le forze ritornassero e il mio cervello riacquistasse lucidità. Poi quando fui certo che tutto era passato la guardai sorridendole “Grazie Rebecca, mi spiace se ti ho fatto del male. Dovevo capire, sapere cosa aspettarmi se qualcuno ci dovesse dividere. Non lo farò più, non mi allontanerò più da te, non ne vale la pena”.
Lei mi sorrise incerta se credermi o meno poi si alzò rapida allungandomi la mano e invitandomi a fare altrettanto. Io annui e mi alzai aiutato da lei, ancora scosso da quello che avevo provato.
Lei mi guardò nuovamente e con un gesto teatrale della mano mi invitò a farle strada. Scossi la testa divertito e grato del fatto che non mi tenesse il broncio e mi avviai lungo il corridoio prendendola per mano.
Non fece opposizione ma mi guardò chiaramente stupita.
Non fu un gesto calcolato, ma puramente istintivo, mi sentivo più sicuro e protetto con la certezza di averla vicino a me.
Non potevo immaginare che non ne avrei più potuto fare a meno e che avevo creato un precedente pericoloso.
Da dietro di noi una porta si aprì lentamente ed Aro ne uscii scrutandoci pensieroso mentre un sorriso soddisfatto si allargava sul suo viso.

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