martedì 12 febbraio 2013

NV Capitolo 11 - Al banchetto

Edward

La settimana passò senza grossi cambiamenti. Lavoravo per Aro e passavo i pomeriggi con Rebecca quasi sempre sul mio albero.
C'era un altro posto che mi piaceva molto, un altro cortile più piccolo senza alberi ma con molte fontane e canali artificiali che scorrevano pigri fra piante di tutti i tipi potate accuratamente. Un vero gioiello d'architettura verde.
Però non ci andavo quasi mai, era spesso frequentato dai Signori di Volterra e non avevo certo il piacere di passare il mio tempo libero con Aro o con Caius che mi lanciava occhiate piene d'odio.

Quella sera eravamo rientrati nella mia stanza e mi stavo cambiando perché fuori aveva piovuto tutto il pomeriggio. Ormai non mi imbarazzavo più di tanto davanti a Rebecca che si voltava per lasciarmi fare con tranquillità.
Non ci avevo pensato ma anche Rebecca doveva cambiarsi. Supponevo che normalmente si cambiasse e sistemasse quando riposavo la mattina e rimasi di stucco quando senza il minimo preavviso iniziò a spogliarsi di fronte a me.
Imbarazzatissimo mi voltai subito “Rebecca, avvisa per favore.”
La sentii sghignazzare soddisfatta di avermi messo a disagio.
Rimasi voltato verso il bagno fino a che non mi sentii prendere per le spalle e girare dolcemente.
Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, il suo fiato profumato m'investii e per un attimo ebbi la tentazione... di baciarla.
“Cosa stai facendo?” l'accusai imbarazzato mentre mi ritraevo inorridito e arrabbiato più con me stesso che con lei.
Mi sorrise, con il mio sorriso sghembo e rimase a fissarmi sorridente e divertita.
Sospirai, e mi irrigidì. Qualcuno stava entrando.
“Ciao Edward. Vieni si cena” gli occhi neri di Demetri mi fissarono in attesa di una mia reazione.
“Non voglio partecipare al banchetto. Ho già informato Aro di questo” cercai di mantenere un tono freddo e sicuro mentre sentivo il panico invadermi. Ricordavo ancora con chiarezza come avevano cercato di obbligarmi a nutrirmi l'ultima volta.
“Penso che Aro, non abbia molte speranze di farti cedere, ragazzo. Ma come al solito pretende la tua presenza. Senza contare che adesso sei responsabile anche di Rebecca. Se tu ti rifiuti, anche lei salterà e spero che tu non voglia farle patire la sete più di tanto.” il suo tono era conciliante quasi rassegnato mentre con la mano mi faceva il gesto di seguirlo.
Non avevo scelte e quindi a testa bassa e con la mano stretta in quella di Rebecca lo seguii in silenzio.
Come le altre volte mi misi in fondo alla stanza, il più lontano possibile dal luogo del massacro.
“Rebecca ascolta, io non riesco a cibarmi in questo modo. E' più forte di me. Non sopporto le loro urla di terrore e dolore, soprattutto quelle mentali. Ma tu puoi farlo. Vai pure non ti preoccupare per me. Ti aspetterò qui.”
Lei mi guardò studiando la mia espressione poi scosse la testa e si avvicinò mettendo il suo viso sulla mia spalla. La guardai infastidito per un attimo da quella confidenza che si prendeva ogni giorno di più. Ma non l'allontanai, i suoi occhi neri, riflesso dei miei, tradivano la sete che io stesso stavo patendo e che l' avrei obbligata a sopportare nei prossimi giorni.

Quando le porte si aprirono mi sentii male. Non erano turisti ma una comitiva di ragazzi di tutte le nazionalità provenienti dalle scuole superiori.
I loro pensieri, i loro scherzi, la loro voglia di giocare e ridere mi colpì come un maglio. Potevano essere benissimo i miei compagni di classe. Non potevo permetterlo, non potevano morire così. Rividi davanti ai miei occhi i miei compagni vecchi e nuovi, rividi Jessica, Angela, Peter, Mike, Nicole, Stephan e rividi Bella nelle nostre gite scolastiche.
Non ebbi ne il tempo, ne la possibilità di fare nulla quando il banchetto collettivo iniziò.
Crollai a terra sotto il peso del rimorso e del dolore. Le mani strette sulle orecchie, la mente persa nelle loro urla. Iniziai a singhiozzare, gemendo sotto il peso di quel dolore che m'investiva ad ondate, incapace di controllare il mio corpo che si contorceva con il loro.
Quando le urla cessarono, riuscii a calmarmi e mi ritrovai accucciato a terra fra le braccia di Rebecca che mi accarezzava e baciava sulla testa che tenevo sul suo petto, cercando di calmarmi da quella che sembrava una crisi nervosa in piena regola. Continuai a singhiozzare sconvolto, mentre vedevo i vampiri uscire soddisfatti e sentivo la gioia nella loro mente. Rimanemmo da soli lei ed io, incapace di alzarmi, di muovermi, sconvolto da quella realtà. Avrei voluto fuggire lontano da quel posto, da quella sala, ma non potevo, ero legato a Volterra. Fu dopo qualche tempo che vidi un ombra sovrastarmi. Alzai la testa e un ringhio profondo mi sfuggi dalle labbra.
Era Aro.
“Vieni Edward, seguimi nel mio studio. Dobbiamo parlare” e voltatosi si allontanò senza controllare che ubbidissi o meno. Sapeva già che l'avrei fatto.
E adesso cosa sarebbe successo?
Il solo ricordo di quello accaduto quindici anni fa, mi fece rabbrividire.
Ma che scelta avevo? Nessuna, con il mio giuramento mi ero preclusa qualsiasi libertà di scelta e qualsiasi mio rifiuto sarebbe stato considerato insubordinazione e come tale sarebbe stato punito.
Con terrore chiusi gli occhi, raggomitolandomi contro il mio simbionte, in cerca di quel coraggio che non avevo ma che dovevo trovare a tutti i costi.

Nessun commento:

Posta un commento