Edward
La
settimana passò senza grossi cambiamenti. Lavoravo per Aro e
passavo i pomeriggi con
Rebecca quasi sempre sul mio albero.
C'era
un altro posto che
mi piaceva molto, un altro cortile più piccolo senza alberi
ma con
molte fontane e canali artificiali che scorrevano pigri fra piante di
tutti i tipi potate accuratamente. Un vero gioiello d'architettura
verde.
Però
non ci andavo quasi
mai, era spesso frequentato dai Signori di Volterra e non avevo
certo il piacere di passare il mio tempo libero con Aro o con Caius
che mi lanciava occhiate piene d'odio.
Quella
sera eravamo
rientrati nella mia stanza e mi stavo cambiando perché fuori
aveva
piovuto tutto il pomeriggio. Ormai non mi imbarazzavo più di
tanto
davanti a Rebecca che si voltava per lasciarmi fare con
tranquillità.
Non ci avevo pensato ma anche Rebecca doveva cambiarsi. Supponevo che normalmente si cambiasse e sistemasse quando riposavo la mattina e rimasi di stucco quando senza il minimo preavviso iniziò a spogliarsi di fronte a me.
Non ci avevo pensato ma anche Rebecca doveva cambiarsi. Supponevo che normalmente si cambiasse e sistemasse quando riposavo la mattina e rimasi di stucco quando senza il minimo preavviso iniziò a spogliarsi di fronte a me.
Imbarazzatissimo
mi
voltai subito “Rebecca, avvisa per favore.”
La
sentii sghignazzare
soddisfatta di avermi messo a disagio.
Rimasi
voltato verso il
bagno fino a che non mi sentii prendere per le spalle e girare
dolcemente.
Il
suo viso era a pochi
centimetri dal mio, il suo fiato profumato m'investii e per un attimo
ebbi la tentazione... di baciarla.
“Cosa
stai facendo?”
l'accusai imbarazzato mentre mi ritraevo inorridito e arrabbiato
più
con me stesso che con lei.
Mi
sorrise, con il mio
sorriso sghembo e rimase a fissarmi sorridente e divertita.
Sospirai,
e mi irrigidì.
Qualcuno stava entrando.
“Ciao
Edward. Vieni si
cena” gli occhi neri di Demetri mi fissarono in attesa di una
mia
reazione.
“Non
voglio partecipare
al banchetto. Ho già informato Aro di questo”
cercai di mantenere
un tono freddo e sicuro mentre sentivo il panico invadermi. Ricordavo
ancora con chiarezza come avevano cercato di obbligarmi a nutrirmi
l'ultima volta.
“Penso
che Aro, non
abbia molte speranze di farti cedere, ragazzo. Ma come al solito
pretende la tua presenza. Senza contare che adesso sei responsabile
anche di Rebecca. Se tu ti rifiuti, anche lei salterà e
spero che tu
non voglia farle patire la sete più di tanto.” il
suo tono era
conciliante quasi rassegnato mentre con la mano mi faceva il gesto di
seguirlo.
Non
avevo scelte e quindi
a testa bassa e con la mano stretta in quella di Rebecca lo seguii in
silenzio.
Come
le altre volte mi
misi in fondo alla stanza, il più lontano possibile dal
luogo del
massacro.
“Rebecca
ascolta, io
non riesco a cibarmi in questo modo. E' più forte di me. Non
sopporto le loro urla di terrore e dolore, soprattutto quelle
mentali. Ma tu puoi farlo. Vai pure non ti preoccupare per me. Ti
aspetterò qui.”
Lei
mi guardò studiando
la mia espressione poi scosse la testa e si avvicinò
mettendo il suo
viso sulla mia spalla. La guardai infastidito per un attimo da
quella confidenza che si prendeva ogni giorno di più. Ma non
l'allontanai, i suoi occhi neri, riflesso dei miei, tradivano la sete
che io stesso stavo patendo e che l' avrei obbligata a sopportare nei
prossimi giorni.
Quando
le porte si
aprirono mi sentii male. Non erano turisti ma una comitiva di ragazzi
di tutte le nazionalità provenienti dalle scuole superiori.
I
loro pensieri, i loro
scherzi, la loro voglia di giocare e ridere mi colpì come un
maglio.
Potevano essere benissimo i miei compagni di classe. Non potevo
permetterlo, non potevano morire così. Rividi davanti ai
miei occhi
i miei compagni vecchi e nuovi, rividi Jessica, Angela, Peter, Mike,
Nicole, Stephan e rividi Bella nelle nostre gite scolastiche.
Non
ebbi ne il tempo, ne
la possibilità di fare nulla quando il banchetto collettivo
iniziò.
Crollai
a terra sotto il
peso del rimorso e del dolore. Le mani strette sulle orecchie, la
mente persa nelle loro urla. Iniziai a singhiozzare, gemendo sotto il
peso di quel dolore che m'investiva ad ondate, incapace di
controllare il mio corpo che si contorceva con il loro.
Quando
le urla cessarono,
riuscii a calmarmi e mi ritrovai accucciato a terra fra le braccia di
Rebecca che mi accarezzava e baciava sulla testa che tenevo sul suo
petto, cercando di calmarmi da quella che sembrava una crisi nervosa
in piena regola. Continuai a singhiozzare sconvolto, mentre vedevo i
vampiri uscire soddisfatti e sentivo la gioia nella loro mente.
Rimanemmo da soli lei ed io, incapace di alzarmi, di muovermi,
sconvolto da quella realtà. Avrei voluto fuggire lontano da
quel
posto, da quella sala, ma non potevo, ero legato a Volterra. Fu
dopo qualche tempo che vidi un ombra sovrastarmi. Alzai la testa e un
ringhio profondo mi sfuggi dalle labbra.
Era
Aro.
“Vieni
Edward, seguimi
nel mio studio. Dobbiamo parlare” e voltatosi si
allontanò senza
controllare che ubbidissi o meno. Sapeva già che l'avrei
fatto.
E
adesso cosa sarebbe
successo?
Il
solo ricordo di quello
accaduto quindici anni fa, mi fece rabbrividire.
Ma
che scelta avevo? Nessuna, con il mio giuramento mi ero preclusa
qualsiasi libertà di
scelta e qualsiasi mio rifiuto sarebbe stato considerato
insubordinazione e come tale sarebbe stato punito.
Con
terrore chiusi gli
occhi, raggomitolandomi contro il mio simbionte, in cerca di quel
coraggio che non avevo ma che dovevo trovare a tutti i costi.
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