Edward
Mancavano
quindici giorni al 2 Dicembre e tutte le donne di casa sembravano
impazzite. Alice alla fine aveva preso il sopravvento e continuava a
dare ordini a tutti.
Io
non ce la facevo più.
Odiavo
quella confusione e più ancora i vari impegni che tenevano
Bella
spesso lontano da me costringendomi a cercare conforto e compagnia
nei miei genitori.
Ma
ancora di più ero angosciato per la mia bambina.
Ero
purtroppo stato consapevole fin dalla sua nascita che questo giorno
sarebbe arrivato presto, ma malgrado questo non riuscivo ad accettare
quello che stava succedendo.
Ero
egoista ed apprensivo in maniera assurda. Sapevo che Jacob non le
avrebbe mai fatto del male, che l'amava profondamente. Ma il mio
istinto di Vampiro si ribellava all'idea che mia figlia finisse in
sposa a un Licantropo.
Se
Bella avesse saputo quello che pensavo mi avrebbe smembrato, ma non
potevo farci nulla. Era più forte di me e l'istinto
risvegliato a
Volterra, mi costringeva ad un autocontrollo ancora maggiore.
Uscii
in giardino. Bella era fuori con tutte le donne di famiglia e i miei
fratelli erano andati a caccia approfittando dell'ennesima giornata
nuvolosa.
Il
senso di panico si stava ingigantendo in maniera tremenda e quando
sentii la mano di mio padre sulla mia spalla tirai un sospiro di
sollievo.
“Tutto
bene Edward?” mi disse sorridendomi.
“Si
grazie, papà” annui.
Dopo
l'accordo preso con Bella gli avevo raccontato della nostra decisione
e non avevamo più parlato del problema.
Forse
anche lui era convinto che con il tempo le cose si sarebbero
aggiustate.
Ma
si sbagliava come si era sbagliata Bella.
Invece
che andare meglio era sempre peggio. E il mostro dentro di me si
agitava inquieto, stuzzicato dalla gelosia verso Jacob.
Sentì
la sua mano stringersi sulle mie spalle, non era un lettore del
pensiero ma sicuramente il suo amore per me gli faceva percepire la
mia inquietudine.
“Edward...
come stai?” mi chiese portandosi vicino a me senza levare il
braccio dalla mia spalla.
Ingoiai
il veleno e scossi la testa.
“Sono
nervoso come tutti... e ho paura di perdere Nessi” aggiunsi a
bassa voce.
Lo
vidi annuire e sorridere. “Su questo ne ero certo”
rispose quasi
divertito “Ma io intendevo con l'altro problema”
aggiunse
cercando i miei occhi.
Evitai
il suo sguardo, mi vergognavo.
“Edward...
ti dispiace venire nel mio studio un attimo... vorrei
parlarti” mi
disse stringendo la presa su di me e spingendomi dolcemente verso le
scale.
Sospirai
e annui. Se mi voleva parlare c'era una ragione precisa, e qualsiasi
cosa mi avrebbe detto, dovevo starlo a sentire.
Eravamo
soli in casa e probabilmente era un po' di tempo che aspettava
quest'occasione.
Sempre
tenendomi per la spalla mi condusse nel suo studio e senza lasciarmi
chiuse la porta dietro di se.
Mi
avviai verso la sedia di fronte alla sua scrivania e mi sedetti.
Entrai veloce nella sua mente, ma vi trovai l'elenco di quello
contenuto nella sua borsa.
Mi
scappò un sorriso e ne uscii veloce.
Invece
di andare a sedersi sulla seggiola si sistemò sul bordo
della
scrivania di fronte a me e la sua mano scivolò sul mio
braccio.
“Va
sempre peggio vero Edward?” disse cercando i miei occhi.
Lo
guardai ingoiando a vuoto e annui.
“Quello
che non capisco è il perché!”
continuò sempre guardandomi “è
da quando ho capito quello che ti succede che ci penso, ma non trovo
una spiegazione.”
Sospirai
“Non riesco a capire neanch'io” mormorai avvilito.
“Mi
vuoi spiegare esattamente cosa ti succede? Magari parlandone
riusciamo a trovare un perché o una soluzione”
continuò risoluto.
“E'
strano. E' come se mi sentissi solo, abbandonato. Per quante persone
ho intorno o vicino ho bisogno di un contatto fisico. E sto male
fisicamente come quando ero lontano da... lei” cercai di
spiegare.
“Quello
che non riesco a capire Edward, è se è un
qualcosa di fisico o di
testa. Quale dei due influenza l'altro?? Hai studiato medicina, non
riesci a capirlo??”
Scossi
la testa, depresso. “Non lo so. So solo che mi viene a
mancare un
qualcosa. E che sono in pensiero per lei. Non posso abbandonarla
là.
Non aveva mai parlato prima e con me l'ha fatto. E mi ha chiesto di
non dimenticarla.” cercai di spiegargli, ma mi rendevo conto
quanto
fosse impossibile dal momento che io stesso non capivo cosa mi stesse
succedendo.
Lui
annui pensieroso poi mi sorrise “Edward, posso vedere ancora
la
cicatrice. Ti fa ancora male il suo morso?” mi chiese
dolcemente.
Lo
guardai un po' stupito poi il suo pensiero mi colpì come un
pugno
nello stomaco.
“Credi
che mi abbia messo un qualcosa dentro?” chiesi stupito dal
suo
pensiero.
“Non
lo so, figliolo. Ma il fatto che continui a farti male non è
normale. Forse se ci do un occhiata più approfondita
riusciamo a
trovare la soluzione al mistero che la circonda” mi disse
sorridendomi.
Forse
aveva ragione, era una possibilità.
Annui
e iniziai a sbottonarmi la camicia.
Lui
scosse la testa. “Siediti sul lettino. E' più
comodo” mi disse
alzandosi.
Lo
imitai e accompagnato da lui mi sedetti sul lettino, poi mi sfilai la
camicia restando a torso nudo.
Lui
si avvicinò e iniziò a studiare la cicatrice con
gli occhi stretti.
“Non
ho mai visto nulla di simile. Sembra quasi risplendere ed è
identica
a quando sei tornato a casa. Avrebbe dovuto sbiadirsi in questi
mesi”
constatò ad alta voce. Non sapevo se parlava con me o con se
stesso,
per cui rimasi in silenzio.
“Se
ti faccio troppo male dimmelo Edward, che mi fermo” mi disse
a
bassa voce mentre le sue mani si portavano sulla mia spalla con un
tocco leggero.
Quando
provò a schiacciare la ferita un gemito mi sfuggì
dalle labbra che
tenevo chiuse perché non volevo ostacolare la sua visita.
Lui
le levò subito permettendomi di prendere nuovamente fiato.
“L'ho
appena sfiorata” constatò pensoso “non
avresti dovuto sentire
male” si giustificò in ansia per me.
“Vai
avanti, posso farcela” sibilai. Volevo andare fino in fondo.
Se mio
padre aveva ragione sarei stato finalmente libero.
Lui
scosse la testa e si avvio a frugare nel suo armadietto.
Io
rimasi lì seduto con la testa bassa e il respiro affannoso.
Fece
in un attimo e la sua mano si posò sul mio braccio.
“Stai
tranquillo Edward. Cerca di rilassarti” mi disse dandomi il
tempo
di calmarmi. Poi mi fece una carezza sui capelli “Sdraiati
sarà
più facile per entrambi” ubbidii.
Avevo
sempre avuto fiducia in lui e dovevo continuare ad averne.
Non
mi avrebbe mai fatto male volontariamente ed era troppo importante
quello che voleva fare.
Lo
vidi prendere quello che sembrava un gel per i capelli e uno strano
apparecchio. “E' una macchina per fare le ecografie molto
particolare e altamente specializzata, l'ultima innovazione, voglio
vedere se dentro la ferita c'è qualche corpo
estraneo” mi spiegò
mentre mi prendeva la mano sinistra e ci versava quel liquido
vischioso. “Mettilo tu sulla ferita così sentirai
meno male”.
Ubbidii
in silenzio. Quando ebbi finito mi porse un asciugamano asciutto per
pulirmi la mano e si avvicino piano. Poi iniziò a passarmi
l'apparecchio sulla cicatrice guardando sul suo monitor i risultati.
Ci
mise pochissimo e mentre lo riponeva mi porse nuovamente
l'asciugamano “Pulisciti . Non c'è nessun corpo
estraneo nella
spalla”
Ubbidii
nuovamente chiedendomi se la cosa fosse un bene oppure no.
A
interrompere i miei pensieri fu di nuovo lui.
“C'è
solo un ultima prova che dovremmo fare” mi disse dandomi la
schiena. Gli entrai veloce in testa e quello che vidi mi
spaventò.
“Mi
vuoi incidere la spalla? Perché?” gli chiesi
consapevole che il
dolore sarebbe stato fortissimo.
“Perché
a questo punto penso che ci sia una sacca di veleno non assorbita
sotto la pelle” mi disse voltandosi e sospirando.
“E' solo una
possibilità ma spiegherebbe il perché ti fa
ancora male dopo tutto
questo tempo e il tuo comportamento anomalo.”
Il
veleno mi salì in bocca, ero preoccupato.
“Ovviamente
non ho antidolorifici come per gli umani e quindi se non vuoi non ti
forzerò. Anche perché... non sono sicuro che la
mia teoria sia
giusta.” continuò facendomi un sorriso tirato.
“Se
credi che ci possa anche solo essere una
possibilità...” lasciai
la frase in sospeso.
Lui
annui “Si , una possibilità c'è, che io
abbia ragione. Vedi è
solo un ipotesi ma in tutto questo tempo ho fatto delle ricerche e
credo che ci possa essere una possibilità
concreta.”.
“Allora
fallo” sospirai
Lui
annui e si voltò a cercare un bisturi affilato. Non gli
chiesi che
cos'era, sapevo benissimo che proveniva da qualche dente di
licantropo.
Presi
fiato e chiusi gli occhi mentre con le mani stringevo il bordo del
lettino.
“Adesso
stai fermo più che puoi” sentii la sua voce calda
e rassicurante.
Cercai
di rilassarmi ma quando la lama incise la cicatrice un urlo
sfuggì
dalle mie labbra. Cercai di mordermi le labbra e il veleno
iniziò a
uscire dalla mia bocca mentre le mie dita stringevano il bordo del
letto che si stava deformando sotto di esse.
Lui
proseguì con l'incisione e poi scostò i due lembi
di carne.
Un
altro ringhio mi sfuggì dalle labbra mentre capivo il
perché avesse
aspettato che la casa fosse vuota.
“Ecco,
guarda” mi disse.
Aprii
gli occhi con difficoltà, avevo un male tremendo e stentavo
a non
urlare mentre vidi dalla cicatrice aperta uscire un liquido
argentato. Il veleno di Rebecca colò sulla spalla come fuoco
liquidò
e un altro gemito mi sfuggì dalle labbra. Vidi Carlisle,
asciugarlo
e quando aprì di nuovo la ferita per fare uscire il resto
chiusi
gli occhi cercando di non pensare a nulla, di fare il vuoto intorno a
me.
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