martedì 12 febbraio 2013

NV Capitolo 48 - Una vera guardia tra i Cullen

Edward

Erano ancora tutti lì. Fermi e immobili come statue quando tornammo a casa.
Avevo paura di scendere dalla macchina, paura di affrontarli.
Dopo che ci eravamo baciati con Bella non ci eravamo detti molto altro. Non mi aveva chiesto nulla, ma mi aveva condotto nel bosco e senza paura aveva iniziato a baciarmi.
Si era accorta del mio calore, ma avevo liquidato il discorso dicendo che non stavo benissimo.
E lì con tenerezza e disperazione l'avevo fatta mia e mi ero donato a lei. Quanto mi era mancato quel contatto, quelle carezze! Il mostro dentro di me smaniava e la gola bruciava, ma non mi importava, nulla importava di più di lei, del suo amore.
I fili d'erba tra i nostri capelli erano gli unici testimoni silenziosi della nostra passione.
Quando scesi dalla macchina rimasi fermo a occhi bassi. Non sapevo cosa dire, come giustificare la mia fuga e il mio ritorno. Poi quando trovai il coraggio alzai gli occhi e vidi il sorriso sui loro volti.
Fu mio padre a rompere quell'immobilità che li aveva colti. Si avvicinò lentamente, quasi intimorito da me, con un sorriso raggiante sulle labbra e fece per darmi la mano ma io nascosi il mio volto sul suo petto facendomi abbracciare stretto.
Avevo bisogno di sentirmi amato, di sentirmi accettato.

Lui mi tenne qualche momento stretto conscio di quel mio bisogno disperato, poi mi mormorò “Bentornato a casa Edward. Sono felice che tu abbia scelto di stare con noi. Non avere paura di nulla. Ti aiuteremo.”
Mi sentii sciogliere. L'ansia, e la paura di quei tre mesi crollarono su di me. E mi appoggiai a lui stanco e sfinito fisicamente e mentalmente.
Lui si accorse che le gambe mi stavano cedendo e tenendomi stretto mi disse “Vieni. Devi essere stanco. Entriamo in casa. Poi se ti senti potrai raccontarci la tua storia” e passandomi il braccio sotto le spalle mi condusse in salotto.
Quando fui seduto alzai gli occhi sui i miei fratelli. Si erano tutti seduti e mi guardavano. Nessuno parlava, nessuno aveva il coraggio di dirmi nulla. Ma i loro pensieri urlavano nella mia testa la gioia di vedermi. La felicità di avermi di nuovo con loro. Solo Jacob stava lontano tenendo Renesmee tra le sue braccia. Lo guardai riconoscente. Il loro cuore e il loro calore stuzzicavano la mia sete e saperli al sicuro lontani mi permise di rilassarmi un poco.
“Renesmee vi avrà fatto veder tutto” dissi guardando la mia bambina cercando una conferma alle mie parole.
“No Edward. Non abbiamo voluto vedere. Noi ci fidiamo di te e vorremmo che fossi tu a spiegarci cosa è successo in questi tre mesi.” mi disse mio padre.
Si era seduto vicino a me e teneva il braccio sulle mie spalle con noncuranza ma sapevo che era pronto a bloccarmi se fosse risultato necessario. Gli sorrisi riconoscente.
“Ci ha solo detto che non stai bene fisicamente. Ed è per questo che sto tenendo Alice qui stretta” aggiunse Jasper ridacchiando “e che non ti siamo ancora saltati addosso, fratellino” finii sogghignando felice.
Lo guardai e i miei occhi si posarono sulle mani di Jasper che teneva Alice saldamente sulle spalle.
Sorrisi “Vieni qui Alice abbracciami.” dissi aprendo le braccia.
In un attimo me la trovai addosso “Sono felice di vederti Edward. Visto che avevo ragione. Sei tornato a casa” disse ridendo.
“Ci è mancato molto poco Alice, che mandassi in fumo la tua visione” risposi con un filo di voce.
Poi prendendo fiato iniziai a raccontargli tutto. Passammo la nottata a parlare. Stavolta raccontai tutto, di Rebecca, di quando avevo salvato Aro, del mio addestramento e della battaglia. Volevo che sapessero e capissero
Quando spiegai la trappola che mi aveva teso Aro, senti più di un ringhio di rabbia alzarsi fra di loro e vidi lo sguardo spaventato di Carlisle. La sua mano fresca si posò sul collo come per farmi una carezza, ma sapevo che stava controllando la mia temperatura.
Con calma tappammo tutti gli interrogativi aperti e quando finalmente giunsi alla fine del racconto mi sentii come se mi avessero levato un peso dal cuore. Ora sapevano tutto, ora potevano giudicarmi liberamente. Ora finalmente avrebbero capito.
Mi sentivo svuotato e sfinito.
“Hai l'aria stanca Edward, e poi vorrei darti un'occhiata. Vieni ti accompagno in camera” mi disse Carlisle aiutandomi ad alzarmi.
Io annui e prendendo Bella per mano mi avviai verso le scale.
“Ehi Edward. Appena stai bene facciamo una bella lotta. Voglio vedere se effettivamente sei migliorato. E poi mi devi insegnare qualche mossa, fratellino” mi disse Emmett e mentre gli passavo vicino mi tirò un pugno affettuoso sulla spalla.
Con un ringhio violento mi girai mettendomi in posizione di difesa pronto ad attaccare.
“Edward. No!” il grido di Esme mi riportò alla realtà mentre le braccia di Carlisle e Jasper mi bloccavano.
Ecco adesso sapevano...
Adesso finalmente avrebbero capito quanto pericoloso ed instabile ero diventato.
Presi fiato e mi rilassai imbrigliando il mostro dentro di me. “Scusa Emmett” mormorai a testa bassa. Avrei voluto sprofondare, sparire come il fumo nel cielo, ma non potevo, dovevo imparare a fare i conti con quello che ero diventato.
“Va tutto bene Edward. Non ti preoccupare” le parole affettuose di mio padre mi accarezzarono mentre lui e Jasper allentavano la presa su di me. I miei occhi accesi dalla lotta si spensero e un sorriso triste si dipinse sul mio volto.
“Sono cambiato Emmett. Per me adesso è difficile imbrigliare il vampiro dentro di me. Dammi solo un po' di tempo” chiesi disperato.
“Ti daremo tutto il tempo che vuoi Edward e tutto l'aiuto che possiamo” mi disse Esme avvicinandosi e abbracciandomi forte.
“Vieni Edward. Andiamo” mi sollecitò Carlisle.
Si aveva ragione era meglio che mi allontanassi.
Potevo sentire il sangue di mia figlia ora pulsare più forte, spaventata da me e questo non mi stava aiutando.

Quando fui in camera mi sedetti sul letto sempre senza mollare la mano a Bella.
“Levati la camicia Edward, voglio controllarti” la voce di Carlisle era tranquilla e sicura ed io ubbidi docile.
Mi fece sdraiare sulla schiena e iniziò a passarmi le sue mani sul petto.
“Vedo che non ti sono rimaste cicatrici del licantropo.” mi disse sorridendo.
Io annui. Poi la sua mano passò veloce sulla mezzaluna argentata che spiccava sulla spalla destra.
Emisi un leggero gemito. A toccarla bruciava come il fuoco. Lui mi scrutò con lo sguardo interrogativo “E' il morso di Rebecca. Brucia” spiegai.
Mi sorrise e mi passò la mano sulla fronte “Hai raccontato di aver avuto problemi con il tuo veleno, adesso com'è la situazione?” mi chiese
“E' normale.” risposi
Mi sorrise e sfilò un filo d'erba dai miei capelli. Poi guardando Bella sghignazzò “Direi che le tue funzioni sono tutte normali”
Se avessi potuto sarei arrossito leggendo i pensieri maliziosi di mio padre, ma mi limitai ad abbassare gli occhi imbarazzato. Sentii invece Bella ridacchiare “Si Carlisle, Jasper aveva proprio ragione”
Non capivo cosa centrasse Jasper e li guardai confuso. “Poi ti spiego” mi sussurrò Bella baciandomi per distrarmi dai pensieri di Carlisle.
“Va bene Edward. Quello che ti hanno dato, scalda in maniera innaturale il tuo corpo e ti provoca la sete continua a cui sei sottoposto risvegliando l'istinto in maniera prepotente. Credo che in tre o quattro giorni dovrebbe passare tutto.” la voce di mio padre era calda e tranquilla cosa che invece io non ero.
“Faremo così. Rimarrai qua in camera, a riposarti e ti darò tutto il sangue di cui hai bisogno. Ne ho fatto provvista e quindi non sarà un problema. Quando starai meglio, e non avrai tutta questa sete in continuazione, ti accompagneremo a cacciare e vedrai che nel giro di poco ti riabituerai alla nostra dieta e riuscirai a imprigionare nuovamente il tuo istinto”
La sua voce era sicura ma io avevo paura.
Ero pericoloso.
Volterra mi aveva cambiato profondamente ed io ero consapevole di questo.



Sarebbe stato duro, ma ce l'avrei fatta.
Sarei ritornato ad essere l' Edward di sempre.
Forse ci avrei messo qualche mese ma avrei di nuovo imprigionato il mio mostro.
Aro non avrebbe mai vinto.
Non appartenevo a Volterra e mai sarei diventato uno di loro.
L'amore per la mia famiglia, per Bella, per mia figlia sono i miei vincoli, la mia forza e lui non sarebbe mai riuscito a prendermi perché mai sarebbe riuscito a distruggere quel sentimento che tanto ci univa.
Poteva provare a cambiarmi, a disorientarmi ma avevo un punto fermo, un ancora di salvezza.
Come un veliero in mezzo a una tempesta vede un faro e trova la salvezza del porto così poteva provare a travolgermi, a oscurare il mio cuore con le sue nuvole ma la mia famiglia sarebbe sempre stata il mio faro e il mio porto sicuro.


Ero certo di questo, avevo un disperato bisogno di crederlo ...

Nessun commento:

Posta un commento